CAMPAGNA INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DEI
LAVORATORI TURCHI DELLA FABBRICA TESSILE OCCUPATA E AUTOGESTITA KAZOVA
(ISTANBUL)
Dal 12 al 21 settembre 2014 i lavoratori
Kazova saranno in Italia
Ecco le tappe del tour:
Schio 14.09, h 17
Palazzo Fogazzaro - via Pasini, 44 Schio (VI)
Torino 15.09, h 20
Radio Blackout - via Cecchi 21/a, Torino
Pontedera 16.09, h 21
sede Cobas - via Pisacane, 6 Pontedera (PI)
Pietrasanta 17.09 h 21
sala Croce Verde - via Capriglia, 5 Pietrasanta (LU)
Firenze 18.09 h 21
CPA - via Villamagna, 44 Firenze
Roma 19.09 h 18
Communia Roma - via dello Scalo di San Lorenzo 33, Roma
Fuori mercato, produzioni a sfruttamento zero: tra fabbriche recuperate e autogestione conflittuale
con Andres Ruggeri (Arg), RiMaflow, Catherine Samary e Fralib (fabbrica recuperata fralib Marsiglia), Kazova, SoS Rosarno, OfficineZeri...
Napoli 20.09 h 18
spazio ME-TI - viaAtri, 6 Napoli
***
La Kazova
è una fabbrica tessile in Turchia sita vicino a Istanbul.
La
vicenda di questa manifattura tessile si colloca all'interno della crisi
generale di sovrapproduzione del sistema capitalistico, contesto in cui, per la
Kazova, la concorrenza dei prodotti provenienti dall’Asia ha giocato un ruolo
determinante, in particolare nel cosiddetto miracolo
economico turco degli ultimi
dieci anni. Il fenomeno riguarda molte manifatture, anche in altri Paesi,
soprattutto europei.
La
Turchia ha sperimentato, e sta ancora sperimentando, in particolar modo negli
ultimi dieci anni, la via capitalista per vedere
la luce in fondo al tunnel di una crisi i cui responsabili sono coloro che
ne trarranno i maggiori vantaggi.
Ciò ha
comportato una compressione costante del salario e una produttività ottenuta negando
sempre più il rispetto minimo per i lavoratori. Ritmi infernali con una
elevatissima percentuale di incidenti sul lavoro, molto spesso mortali. La
tragedia della miniera di Soma è solo l'ultimo eclatante esempio data la sua
enormità. Spesso si registra la morte sul lavoro di minorenni di 13 e 14 anni.
Un
restringimento sostanziale dei livelli sindacali ha fatto da apripista ad una
politica marcatamente antioperaia e filo padronale, per poter sfruttare al
meglio e attirare capitali stranieri in un paese che da tempo chiede di entrare
nell'Unione Europea.
La
Turchia ha una lunga tradizione di soppressione e di restrizione dei diritti
dei lavoratori, già diffusa ai tempi della dittatura militare degli anni '80 ed
accentuata con l'attuale AKP (Giustizia e Sviluppo) del governo Erdogan dal
2002.
La
Turchia. Esempio emblematico di come il fascismo sia una faccia del
capitalismo: i diritti di organizzazione e di sciopero sono stati pesantemente
limitati, e tutti i diritti dei lavoratori vengono violati su larga scala in condizioni
di lavoro insicure e con la totale impunità per i proprietari di società che realizzano
profitti, mentre i lavoratori stanno sempre più impoverendosi e morendo.
Oggi in
Turchia registriamo la settimana media lavorativa più alta in Europa (53 ore),
il tasso più basso di assenze per malattia (4.6 nel 2013), un salario netto di
poco superiore ai 300 euro mensili, e contestualmente il primo posto in Europa
per morti sul lavoro (6-7 morti al giorno).
Questo
è il miracolo economico turco degli
ultimi dieci anni.
L’attacco
padronale alla Kazova inizia a gennaio del 2013, quando i padroni della
fabbrica tessile, i fratelli Somuncu, fanno recapitare dai loro avvocati ai 94 lavoratori
la lettera di licenziamento. Lettera arrivata dopo quattro mesi in cui i lavoratori
non percepivano né lo stipendio mensile né gli straordinari.
La
motivazione del licenziamento: i lavoratori erano rimasti assenti dalla
fabbrica per tre giorni senza giustificazione. Durante la notte stessa, ad
opera dei proprietari, dalla fabbrica spariscono 100.000 maglioni e 40
tonnellate di filati. Le macchine per la produzione, impossibili da spostare
così in fretta, vengono messe fuori uso dal padrone e dai suoi sgherri.
Alcuni
di loro, all’inizio 12, capendo che la legge non avrebbe mai salvaguardato la
loro situazione, decidono di mettere in atto l’unico comportamento che un
lavoratore in quelle condizioni può praticare. Resistere.
Supportati
dal Fronte del Popolo (HALK Cephesi), il 28 aprile decidono di occupare la
fabbrica e impiantano una tenda - che diventerà il simbolo della loro
resistenza - davanti alla fabbrica. Nelle settimane successive verranno attaccati
e aggrediti dai fascisti al soldo dei padroni, e dalla polizia turca.
Per prima cosa i lavoratori cercano di vendere le macchine
rimaste in fabbrica, in modo da compensare la razzìa subita da parte dei padroni, ma vengono essi stessi accusati
di furto e attaccati dalla polizia: sono quattro gli arrestati.
Hanno
capito e soprattutto sperimentato che tutto era contro di loro, ma che avevano la
solidarietà e la vicinanza di altri lavoratori di fabbriche vicine, che nel
frattempo si stava manifestando nei loro confronti. Da sottolineare lo scambio
culturale di lotta e di solidarietà, ma soprattutto di internità con il
movimento di Gezi, al quale i lavoratori sottolineano di essersi ispirati per
proseguire la lotta, ricavandone una enorme dose di coraggio e di determinazione.
Decidono
quindi di riprendere la produzione con le poche cose che ancora si trovavano in
fabbrica.
Il
primo lotto di maglie di loro fabbricazione viene inviato nelle carceri, da
dove erano partite le lettere di solidarietà nei loro confronti.
I
lotti successivi sono venduti al caffè del Kolektif 26A a Taksim e ai numerosi
forum Gezi, sorti in tutta la città dopo i noti fatti di Gezi Park. I soldi
ricavati da queste vendite vengono impiegati per riparare le macchine sabotate
dal padrone.
Contemporaneamente,
per rendere la loro lotta sempre più visibile, organizzano svariati forum, e
riescono nel mese di settembre a proporre persino una sfilata dal titolo La moda di resistenza, a cui partecipano
personaggi pubblici come attori, scrittori, accademici, gruppi musicali.
I
lavoratori della Kazova hanno compreso fin da subito l’importanza dell’estensione
della lotta e con lo slogan Maglioni alla
portata di tutti hanno cercato immediatamente contatti anche fuori della
Turchia stringendo rapporti di solidarietà, ma anche scambiando prodotti con
cooperative autogestite, in particolare in Grecia con la Vio.Me e la cooperativa basca Mondragon.
Di
recente, i lavoratori della Kazova hanno vinto una piccola battaglia in
tribunale, in quanto a titolo di risarcimento per i loro salari persi sono
stati loro restituiti i macchinari. Poca cosa, ma che comunque hanno subito
immesso nel loro ciclo produttivo.
Parità salariale per tutti e sei ore di lavoro giornaliero.
Nella centrale
zona Sisli di Istanbul, i lavoratori della Kazova hanno aperto un piccolo
negozio con valenza di centro culturale, sulla cui facciata risalta una
scritta: DIREN! KAZOVA (Resisti! Kazova).
Il
pavimento è fatto di sanpietrini, alcuni colorati di bianco a formare alcune
scritte sul pavimento: “1° Maggio”, “Resisti Kazova”, “La rivoluzione è viva”.
Una pavimentazione
da strada che dà il senso di resistenza, come le magliette, i maglioni messi
negli scaffali, un senso di sfida, un senso di equità, un senso di lotta.
Subito
salta agli occhi il diverso atteggiamento che ha animato questi lavoratori,
questa esperienza, se rapportato ad altre fabbriche in Turchia ma anche in
altri paesi, soprattutto in paesi a capitalismo avanzato, Italia in primis.
Lo
slogan dei lavoratori Kazova “Occupare, Resistere, Produrre” (mutuato dall'esperienza
argentina) non è sinonimo di chiedere riforme del lavoro, patteggiare ristrutturazioni,
scrivere lettere angosciate a papi, sindaci, ministri, governatori regionali,
elemosinare cassa integrazione.
Occupare
per Resistere, Resistere per Produrre, non per realizzare profitti che, come
spiegano i lavoratori, non è il loro obiettivo. Ottenere condizioni di lavoro e
paga migliori senza chiederle ma prendendosele, produrre scambio di idee e
contatti di solidarietà rivoluzionaria, produrre lotte per il controllo dei
mezzi di produzione.
Un
altro mondo, un’altra concezione del mondo, un'altra comprensione della realtà,
soprattutto in chiave prospettica, da parte di lavoratori che hanno pienamente capito
il loro ruolo dentro il sistema capitalista.
In un
momento come quello attuale confrontarsi con simili esperienze, da noi
impensabili, nemmeno in momenti in cui la classe lavoratrice aveva un potere
contrattuale enormemente più alto, non solo è importante come bagaglio politico,
ma soprattutto mette sul tavolo della discussione una delle prassi che da
sempre ha contraddistinto l’agire, il rivendicare, il patteggiare dei
lavoratori. Specialmente in una prospettiva futura, sapendo quali saranno le
esigenze dei capitalisti e quali metodi useranno. Niente di nuovo, ma con una
drasticità e durezza che aggiungeranno sofferenza, espulsione dal ciclo
produttivo, immiserimento per milioni di lavoratori e proletari.
I
lavoratori della Kazova stanno dimostrando che difronte alla chiusura della
propria fabbrica non esiste solo la strada della rassegnazione o del ritorno a
casa ma esiste quello della lotta. Per questo la loro presenza in Italia sarà
un interessante momento di confronto anche con chi ha avviato pratiche di
occupazione, autogestione e recupero del proprio luogo di lavoro di fronte alla
chiusura imposta dai padroni.
Consapevoli
che il movimento dei lavoratori in Italia vive un profondo arretramento da
almeno 30 anni, questo non toglie che l’incontro con i lavoratori turchi serva
innanzitutto a riconoscersi come parte di un'unica classe: la classe
internazionale dei lavoratori.
I
lavoratori della Kazova, inoltre, continuano a spendersi anche sul piano della
solidarietà.
Solidarietà
interna verso i prigionieri politici ad esempio, ma verso tutti i lavoratori
che attraversano periodi duri. Sono stati presenti a Soma, a sostegno dei
lavoratori e delle famiglie coinvolte nel massacro della miniera. Sono stati
vicini al popolo turco nel terribile terremoto che ha scosso la Turchia lo
scorso anno. Sul piano internazionale, basti ricordare che hanno confezionato
le maglie per le nazionali di calcio di Cuba e di quella Basca-Navarra inviando
un chiaro messaggio di sostegno al popolo cubano sotto embargo da oltre 50 anni
e al popolo basco che lotta per la sua autodeterminazione.
Hanno
con il loro esempio contagiato altri lavoratori che hanno messo in pratica le
stesse misure. Fino ad estendere il loro piano d'azione all’occupazione di case
per il popolo.
Non
sappiamo – e non è questo il problema principale - se la via imboccata dai
lavoratori della Kazova sia LA via.
Di
sicuro sappiamo che la maggior parte delle strade intraprese negli scenari con
cui abbiamo avuto a che fare o di cui abbiamo seguito le vicende, seppur
dignitose e degne di rispetto, non hanno affrontato il problema dello sviluppo
capitalista e non hanno affondato, neppur minimamente, il "coltello in
questa piaga” né tantomeno nel meccanismo che genera la crisi.
L’esperienza
di questi lavoratori mette al centro il problema centrale, che sta alla base
dello sfruttamento: Produrre sì, ma per
chi e per che cosa?
Promuovono:
Areaglobale
ClashCityWorkers
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