Bertolt Brecht

"... sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai
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lunedì 30 giugno 2014

[Areaglobale] C'è chi arriva sempre troppo tardi: ci sono o ci fanno?



A quanto pare uno dei peggiori vizi dei dirigenti della CGIL, a parte quello di essere dalla parte dei padroni piuttosto che dei lavoratori, è quello di essere perennemente in ritardo sulle questioni salvo poi esibirsi in roboanti pronunciamenti contro tutto e contro tutti che risultano essere tanto roboanti quanto inutili.

Sul sito web della Rete 28 Aprile abbiamo letto un articolo di Giorgio Cremaschi (pubblicato in data 22 giugno 2014) in cui il dirigente sindacale manifesta la sua soddisfazione - passateci il termine - circa il rinvio, da parte di Matteo Renzi, del vertice europeo di Torino sulla disoccupazione, con la giustificazione che si volevano evitare manifestazioni d piazza che avrebbero potuto turbare l'ordine pubblico e manifestare un chiaro dissenso contro il semestre di presidenza italiana dell'UE.

Una giustificazione, che ha il sigillo dell'ufficialità posto da una dichiarazione in questo senso del Ministro del Lavoro, e che ha evidentemente lusingato molto Giorgio Cremaschi, convincendolo del peso politico del suo movimento e della giustezza della sua linea.

Con tutto il rispetto per Giorgio Cremaschi, non crediamo che quello del turbamento dell'ordine pubblico sia il vero motivo del rinvio di quel vertice, perché la questione che sarebbe dovuta essere affrontata non la si può liquidare come un problema di ordine pubblico, anche se è questo il messaggio che si vuole far passare. In realtà per la classe politica esiste la paura che il fenomeno - se non tenuto opportunamente sotto controllo - possa crescere al punto da mettere a rischio la coesione sociale, uno dei fenomeni su cui poggia, e di cui necessita, il sistema di sfruttamento capitalistico.

Questo perché la classe politica deve amministrare il sistema economico-sociale cercando di soddisfare pienamente le esigenze del capitale, ovvero dei grandi gruppi industriali, bancari e finanziari italiani, creando condizioni strutturali più favorevoli per aumentare i loro margini di profitto. Non a caso tutti i provvedimenti attuati dai vari governi che si sono succeduti in questi anni, ed anche quelli che verranno adottati in futuro, vanno/andranno in questa direzione, con lo scopo di innescare un processo virtuoso che conduca alla realizzazione di migliori condizioni sia di competitività delle imprese italiane sia di attrattività del mercato italiano per gli investitori stranieri, fattori a loro dire determinanti per la crescita economica e quindi per la riduzione della disoccupazione.

Significativa al riguardo l'apertura di Merkel e Van Rompuy sulla flessibilità nel rientro del debito pubblico da parte dei paesi membri dell'UE, in cambio di riforme strutturali capaci di rilanciare in maniera duratura la crescita economica e di creare occupazione (alla faccia di chi accusa l'Unione Europea ed in particolare la Germania di essere le vere responsabili dell'impoverimento generale dei cosiddetti paesi periferici dell'Eurozona, attraverso l'imposizione esclusiva di una politica del rigore nei conti pubblici, la quale, a detta loro, non fa altro che allontanare drammaticamente la ripresa economica).

Tutte queste misure, riforme strutturali sono finalizzate a valorizzare maggiormente i capitali investiti in Italia tramite una ulteriore riduzione del costo della forza-lavoro (dal momento che gran parte della redditività del capitale investito dipende dal costo del lavoro vivo) e precarizzazione/flessibilizzazione dei lavoratori salariati (per eliminare la loro capacità di resistenza organizzata e collettiva al peggioramento delle loro condizioni di lavoro e di vita).

Basti pensare a quanto è avvenuto nella “ricca” Germania, adottando forme di lavoro atipico: il tasso di disoccupazione tedesco che dopo la riunificazione era salito all'11% l'anno scorso è sceso al 6,6%, tra i più bassi in Europa. Però il 35% del totale dell'occupazione è costituita da impieghi temporanei e part-time, fra questi ultimi la categoria di maggior successo è quella dei cosiddetti mini-jobs che rappresentano il 20% di tutti gli impieghi. Si tratta di occupazioni a tempo parziale che non vengono pagate più di 450 euro netti al mese. Inoltre circa 8 milioni di lavoratori tedeschi guadagnano meno di 9,15 euro lorde all'ora, circa 1.4 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 5 euro all'ora ed 800.000 dipendenti vivono con un salario mensile lordo inferiore ai 1.000 euro.

Se non se ne discute oggi ne potremo discutere anche domani o quando lo decidiamo noi, e nessun movimento di piazza ci può distogliere da questo. Ecco cosa vuole dire Renzi, in buona sostanza. Perché fino a che esiste una questione, qualunque essa sia, si può giustificare qualsivoglia misura di politica economia e sociale, che in realtà non risolverà mai il problema, ma al massimo lo mitigherà in maniera trascurabile, per poi nasconderlo sotto una nuova veste.

Il Jobs Act di Renzi ce lo dimostra. Da una parte si dichiara che si vuole combattere la precarietà salvo poi introdurne nuove forme e dare ai padroni nuove e più efficaci armi per sfruttare i lavoratori.

In questo contesto, va benissimo la denuncia e vanno benissimo le manifestazioni, ma se queste non sono poi seguite da azioni concrete in ambito sindacale, tutti gli sforzi fatti non serviranno a niente e saranno, anzi, fuorvianti e pericolosi per i lavoratori.
Ci viene in mente tutto il polverone sollevato da Landini sull’infame AI del 10 gennaio 2014 cui ha fatto seguito un referendum che sembrava avrebbe spaccato il mondo e dopo tutto è finito nel dimenticatoio. Energie buttate al vento, che non hanno spostato di un millimetro i rapporti di forza in campo.

Anche l'identificazione della Germania e della Merkel come i Grandi Satana europei ci fa sorridere un po', soprattutto perché il governo tedesco, come quello italiano e di tutti i paesi europei (e del mondo, vogliamo aggiungere) sono espressione e cinghia di trasmissione degli interessi dei grandi gruppi capitalistici nazionali che operano anche a livello internazionale, quindi i nemici dei lavoratori italiani non sono quelli tedeschi, o polacchi o romeni, ma i capitalisti nel loro insieme che sono gli stessi nemici dei lavoratori tedeschi, polacchi, romeni…
La Germania è il paese la cui economia tira di più ed il suo comportamento è quello di un paese che fa e difende i propri interessi a scapito di quelli degli altri. Una lotta tutta interna alle varie fazioni che formano il  capitale internazionale, una lotta che scarica su tutti i lavoratori i suoi effetti più deleteri, con la sola differenza che nel momento del bisogno il capitale dimostra una incredibile capacità di azione unitaria che manca invece alle forze del proletariato.

Non c'è nessun nemico germanico da combattere, quindi, ma il capitalismo che con il suo sistema di produzione sfrutta sempre di più e con maggiore efficacia, la forza lavoro disponibile, facendo della disoccupazione e della precarietà due delle sue migliori armi, perché dividono i proletari gli  uni dagli altri rendendoli più manovrabili e ricattabili.

Con questo, noi abbiamo solo scoperto l'acqua calda, perché la lotta di classe esiste ancora e in questa fase la stiamo perdendo, ed è questo che dovrebbe aver chiaro Giorgio Cremaschi che invece si inventa un altro spauracchio, che chiama renzismo, che ha sostituito il vecchio berlusconismo, arrivando ad augurarsi un fallimento del governo Renzi, per poi?...

Questa domanda resta senza risposta, perché se da una parte Cremaschi fa una serie di critiche e di denunce giustissime, e che noi condividiamo, dall'altra non arriva al nocciolo della questione e cioè:

1.      quali sono le cause del renzismo?
2.      Quali proposte per il dopo Renzi?

Noi su questa questione diciamo che il renzismo concepito come il nuovo nemico altro non è che una lettura limitativa e fuorviante della realtà, perché distrae l'attenzione generale da quelli che sono i veri problemi che dobbiamo affrontare, ossia l'imposizione di nuove regole che limitano le libertà e i diritti dei lavoratori, misure che si potranno poi riflettere sulla società nel suo complesso, attraverso l'adozione di misure repressive e limitative dei diritti civili.
Dobbiamo precisare che questa deriva autoritaria dello stato avverrà soltanto in presenza di una seria iniziativa di classe, oggi assente, capace di produrre contraddizioni sociali talmente esplosive che il potere dominante non sarà in grado di tenerle sotto controllo senza ricorrere all'uso massiccio della sua forza. Il problema principale è che la classe padronale ha ed avrà per molto tempo una saldissima egemonia culturale sul proletariato, basti guardare l'esito delle recenti elezioni europee.

Una nuova (ma in realtà vecchia) ideologia, quella del renzismo, che serve come specchietto per le allodole per nascondere - nemmeno poi tanto se si aprono gli occhi - le solite politiche economiche ai danni dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e dei pensionati, perché deve essere ben chiaro, soprattutto a Giorgio Cremaschi, che ciò che sta facendo oggi Matteo Renzi, è la stessa politica del governo Berlusconi e di quelli che lo hanno preceduto.

Per questo non crediamo che il fallimento di Renzi sia poi così utile agli interessi della classe, come sostiene Cremaschi. Forse dimentica che la causa dei nostri problemi non sono tanto i governi quanto il capitale stesso ed il suo sistema di produzione. Non è curando gli effetti che si risolvono i problemi, ma eliminando le cause, quindi la misura adeguata è l’eliminazione del sistema capitalistico.


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